Da tempo oramai, grazie anche al recente Bando del MiC a valere sul PNRR, si fa un gran parlare dei piccoli borghi italiani e della loro rivitalizzazione in chiave turistica. Ognuno, a seconda della formazione e delle sue esperienze, ne enfatizza alcuni aspetti: l’architetto si concentra sul patrimonio del costruito storico e abbandonato, l’antropologo sugli elementi identitari, lo storico dell’arte sui musei e sui dipinti, l’archeologo sui reperti antichi, il sociologo sui modelli di integrazione sociale, l’ambientalista sul paesaggio incontaminato, il Destination manager sulle nuove esperienze trasformative attivabili e via discorrendo. Ciò che spesso manca è però una visione integrata ed olistica dei borghi che sappia coniugare efficacemente tutte le componenti suddette per restituirne l’unitarietà che ne fa la loro ricchezza e la loro bellezza. Tale mancanza si ravvisa non soltanto nel dibattitto pubblico, laddove appunto a seconda del contesto si enfatizzano alcuni elementi tralasciandone altri, ma purtroppo anche negli strumenti di valorizzazione messi a disposizione dalle istituzioni pubbliche.
Tornado, per esempio, al Bando MiC chiusosi recentemente, tutti coloro che hanno avuto quanto me la fortuna di poterci lavorare avranno sicuramente potuto constatare quanto, al di là dei buoni propositi espressi nelle premesse e nell’illustrazione degli interventi ammessi, il Bando avesse una struttura di costruzione della domanda fortemente “viziata” dall’impostazione “rigida” della realizzazione di opere pubbliche o di acquisizione di servizi e forniture previste dal Codice Appalti. Tale impostazione da un lato costringe il progettista “olistico” a forzare l’impostazione integrata di cui parlavo per incasellarla in strutture rigide che rischiano di far perdere elementi centrali della complessità del borgo e dall’altro alimentano progettualità fortemente settoriali ed incomplete. Tale criticità non può certo superarsi con una voce di spesa denominata genericamente “costi di promozione e comunicazione”. Neppure appare convincente l’appunto che comunque la PA deve avvalersi del Codice Appalti per attuare i progetti finanziati. Tutto questo rischia di alimentare un circolo vizioso nel quale lo sviluppo dei Borghi viene “adattato” alle opportunità di finanziamento presenti ed essendo queste molto “rigide” si rischia di far diventare i Borghi delle “commodities”, vale a dire un qualcosa di indifferenziato e privo di qualunque caratteristica distintiva che lo possa far preferire fra tanti altri con il rischio che fra qualche anno saranno un prodotto turistico al pari di molti altri.
Da cosa bisognerebbe viceversa partire?
La risposta si chiama a mio avviso “Place Branding”.
Il Place Branding parte dall’identità, dalla personalità, dal DNA di un luogo e da questi cerca di definire un posizionamento strategico differenziante e di mettere in campo azioni, materiali ed immateriali, finalizzate a rafforzare questo posizionamento. In tutto questo le fasi di sviluppo di una Branding strategy sono molto chiare e non potrebbero mai anteporre un modello di sviluppo infrastrutturale ad una precisa scelta di posizionamento strategico. Tutto questo è ben noto nel mondo dell’impresa ma pare assai sconosciuto nel mondo del public funding rivolto allo sviluppo turistico e culturale. Qualche cultore del Codice Appalti obietterà: “ eh bravo, ma il Codice non consente un tale approccio”. Mi permetto, da professionista che da oltre un decennio crea e gestisce progetti di marketing turistico nella PA, di dissentire. Il Codice offre già oggi strumenti di programmazione e progettazione, molti dei quali attivabili peraltro anche con il supporto del privato (sia con PPP che consultazioni preliminari del mercato), che consentono alla PA di attivare percorsi di Place Branding prima di progettare e realizzare opere pubbliche. Tale possibilità ad oggi non è viceversa ancora sufficientemente incentivata nel public funding che, come sopra esposto, è principalmente finalizzato alla realizzazione delle opere.
Tale approccio vede oggi anche una coerenza con gli strumenti messi a disposizione dal Project Management in ambito marketing turistico e territoriale con l’introduzione di approcci ibridi o agili che consentono, a differenza dei loro colleghi waterfall, di sviluppare progettualità in modo incrementale e con meno rischi di insuccesso.
Il PNRR potrebbe in tal senso diventare il luogo ideale dove cominciare a innovare e sperimentare un nuovo approccio di place branding pubblicando bandi che incentivino la PA e gli stakeholders a chiedersi dove vogliono andare prima che a finanziar loro l’acquisto dell’auto. Basterebbe mutuare esperienze che già oggi la Commissione europea utilizza per le start up (Vedasi per esempio SME Instruments e Fast track in Horizon 2020) con l’obiettivo di costringerle a ragionare in termini di visione e di posizionamento strategico prima di mettere a terra investimenti.
E i borghi che vantaggio avrebbero in tutto questo?
Partendo dall’identità, dalla personalità, dai valori profondi e costruendo strategie di sviluppo coerenti con queste componenti ogni Borgo farebbe storia a sé e si posizionerebbe in maniera distintiva sul “mercato” evitando quindi di doversi misurare con suoi simili solo sulla base del patrimonio materiale più o meno riqualificato. Tale approccio sarebbe infine più rispettoso della vera identità del Borgo evitando forzature che ne snaturino la storia soltanto per concorrere a qualche finanziamento.